Ho deciso.
Esco a correre.
La pista campestre dove vado di giorno non è illuminata ma la conosco praticamente a memoria.
Mi ci avvio e correndo mi immergo nella sera, umida e nebbiosa.
Mi sento leggermente eccitato, un po’ come quando da bambino feci il primo bagno notturno, nel mare caldo, calmo e nero.
Procedo con passo cadenzato pesticciando il suolo fangoso e schivando le pozze, praticamente invisibili ma che i miei sensi trasformati dal buio riescono a localizzare.
Il cielo che riflette le luci gialle di Citta’ sembra un oceano grigio.
Alla mia destra un muro di siepi nere, a sinistra una schiera di acacie che protendono in alto i rami scheletriti dalla stagione invernale.
Più sotto scorre veloce l’Arno e oltre la sponda più lontana da me, l’autostrada, ove sfrecciano nei due sensi fari veloci e colorati, lontani anni luce dal mio silenzioso buio.
Gradualmente prende forma dinanzi a me una sagoma scura che m’affianca.
E’ un altro podista che dopo un fugace cenno di saluto si rituffa nel nulla alle mie spalle.
Dopo un centinaio di metri piego a destra, in un sentiero che costeggia un borro, da cui proviene uno starnazzio piccato di germani.
Arrivo alle luci della strada urbana, ove s’interrompe la pista.
Giro e rifaccio il sentiero a ritroso, ritrovando gradualmente tutte le cose di prima.
Non ritrovo il podista, che invidio un po’, immaginandolo nel tepore di casa dopo la doccia, ne’ risento i germani, che devono aver risolto la loro questione.
Nel riavvicinarmi alla città l’ambiente pian piano si riaccende, come d’un’alba artificiale.
Rientro a casa stanco e soddisfatto come sempre, ma stavolta con qualcosa in più.
Mi sento come rinvigorito anche mentalmente.
Correre di sera mi ha fatto bene.
Andrea Frosali